È
inutile fare finta di niente: così non possiamo andare
avanti a lungo. Consumiamo troppo. Nel 2006 nel mondo si sono
spesi 30,5 mila miliardi di dollari in beni e servizi, il 28%
in più rispetto al 1996 e sei volte di più rispetto
al 1960. Certo, c'è stata la crescita demografica. Ma
la popolazione dal 1960 ad oggi è aumentata di poco più
di due volte e non di sei volte. Molti beni sono stati acquistati
per rispondere a bisogni primari: il cibo, la casa. Ma, più
cresce il reddito, più aumenta la propensione al consumo:
case più grandi, cibi più raffinati, automobili,
televisori, viaggi aerei, computer, telefonini. Tutto sembra
indispensabile. Un modello che si sta espandendo dai paesi ricchi
ai paesi in via di sviluppo. Il problema è che all'aumento
dei consumi corrispondono più estrazioni dal sottosuolo
di combustibili fossili, minerali e metalli, più alberi
tagliati, più terreni coltivati. Insomma, più
pressione sui sistemi della Terra. L'indicatore dell'impronta
ecologica, che mette in relazione il consumo umano di risorse
naturali con la capacità del nostro pianeta di rigenerarle,
ci dice che già oggi utilizziamo le risorse di 1,3 Terre.
E secondo le previsioni dell'Onu nei prossimi trent'anni altri
2,5 miliardi di persone dovranno avere accesso all'energia.
Cosa
fare? Rallentare la crescita demografica, adottare tecnologie
sostenibili, non c'è dubbio. Ma non basta. Facciamo due
conti. Se volessimo vivere tutti come vivono i cittadini degli
Stati Uniti, il nostro pianeta potrebbe sostenere solo 1,4 miliardi
di individui, mentre noi siamo già quasi 7 miliardi e
si prevede che entro il 2050 saremo 2,3 miliardi in più.
Con efficaci strategie, potremmo frenare la crescita a poco
più di 1 miliardo. Comunque troppi. Pensiamo all'energia.
Da una recente analisi si è visto che per produrre energia
sufficiente a soppiantare gran parte di quanto fornito dai combustibili
fossili, si dovrebbero costruire 200 metri quadri di pannelli
solari fotovoltaici e 100 di solare termico al secondo più
24 turbine eoliche all'ora per i prossimi 25 anni. Il Worldwatch
Institute, l'autorevole osservatorio sull'ambiente, propone
oggi un'altra strada, complementare e non sostitutiva delle
due precedenti, per andare verso una società sostenibile:
cambiare i modelli culturali. Il nuovo rapporto State of the
World 2010 si intitola proprio: "Trasformare la cultura
del consumo. Rapporto sul progresso verso una società
sostenibile". Il consumismo che dovremmo abbandonare è
quello definito dall'economista Paul Ekins un orientamento culturale
in cui "il possesso e l'utilizzo di un numero e una varietà
crescente di beni e servizi è l'aspirazione culturale
principale e la strada percepita come più sicura verso
la felicità individuale, lo status sociale e il successo
nazionale". Il primo problema è riconoscere il consumismo
come un orientamento culturale: la sua pervasività è
tale che ormai viene sentito come qualcosa di naturale.
Il
secondo è mettere mano, praticamente, alle nostre
abitudini. Come convincere i nostri figli che il pane nel latte
è meglio dei cereali? Nostra madre che la carne è
meglio mangiarla solo una volta ogni 15 giorni? Il nostro amico
che non deve cambiare l'auto ogni due anni? L'imprenditore che
è meglio far lavorare meno i suoi dipendenti? La notizia
cattiva, dunque, è che stiamo parlando di un'impresa
titanica e quasi visionaria. Come dice l'inventore del microcredito
e premio Nobel per la pace Muhammad Yinus nella prefazione al
volume: "Nessuna generazione prima d'ora, nell'intera storia
del mondo, è riuscita a realizzare una trasformazione
culturale così profonda come quella invocata in queste
pagine". La notizia buona è che questa trasformazione
è possibile, anzi che il processo di cambiamento è
già cominciato come dimostrano i molti esempi che il
rapporto cita. I bambini. Oggi gli operatori del marketing degli
Stati Uniti investono circa 17 miliardi di dollari per bersagliare
i bambini di pubblicità. E le aziende alimentari spendono
1,9 miliardi di dollari l'anno in campagne pubblicitarie mirate
ai bambini di tutto il mondo.
Ma
qualcosa si sta muovendo: nella provincia canadese del Quebec
è vietata la pubblicità televisiva rivolta i bambini
sotto i 13 anni. In Norvegia e in Svezia il divieto è
applicato al di sotto dei 12 anni. La Francia ha proibito programmi
televisivi per bambini al di sotto dei tre anni d'età.
E la scuola? Qualcosa si muove anche lì. A cominciare
dalla mensa scolastica. La scelta di paesi come la Scozia e
l'Italia di puntare sull'uso di prodotti biologici, locali e
freschi è interessante, soprattutto se messa a confronto
con quelle di altri paesi in cui i distributori automatici di
merendine e bevande gasate forniscono una percentuale delle
entrate all'amministrazione scolastica. L'economia. Secondo
gli estensori del rapporto dobbiamo partire da alcune consapevolezze:
primo, la crescita del prodotto interno lordo non solo è
impossibile, ma indesiderabile perché non vuol dire crescita
del benessere. Secondo, una transizione ad una nuova società
ci sarà comunque e sarà determinata dalle crisi
economiche. Il problema è quindi come governare il cambiamento.
Una trasformazione economica fondamentale riguarderà
la migliore distribuzione dell'orario lavorativo. Oggi molte
persone lavorano troppe ore, guadagnano di più e trasformano
il reddito in consumi. D'altro lato, ci sono moltissimi disoccupati.
Lavorare meno vuol dire far lavorare più persone, avere
più tempo libero, far diminuire i consumi energetici.
Un altro punto di forza della nuova economia sono le imprese
sociali, quelle imprese in cui si producono beni e servizi di
utilità sociale e di interesse generale Anche qui gli
esempi positivi sono molti. Storie come quella dell'impresa
egiziana Sekem che, contro chi sosteneva che non era possibile
rendere fertile la parte di deserto lontana dal Nilo, oggi produce
derrate alimentari biologiche, cotone, erbe medicinali proprio
nel mezzo del nulla.
I
governi e le amministrazioni. Dalla messa al bando dei sacchetti
di plastica in Irlanda al ritiro dal commercio delle lampade
a incandescenza nel Canada, alle pesanti imposte sulle emissioni
della Svezia, le iniziative per promuovere stili di vita sostenibili
non mancano. Molte città stanno riducendo la loro impronta
ecologica. Un esempio? Il quartiere BedZED di Londra, interamente
costruito con materiale riciclato, consuma esattamente tanta
energia quanta ne produce e ha al suo interno orti biologici.
Mass media e religioni. I mezzi di comunicazione di massa possono
essere strumenti efficaci per plasmare le culture. Lo hanno
fatto diffondendo un modello consumistico. Lo potrebbero fare
diffondendo un modello di sostenibilità. Quindi, dicono
gli autori del rapporto, si può pensare di usare il marketing
sociale per trasformare la cultura del consumo. Ma ci si può
spingere ancora più in là e pensare di usare anche
le religioni a questo scopo: "Poiché l'86% della
popolazione mondiale afferma di appartenere a una religione
organizzata, sarà senza dubbio indispensabile coinvolgere
le religioni nella diffusione delle culture della sostenibilità". |