Simm comm a l'ali e na palomma, sule stann astritte riuscimmo a vulà
CULTURA


Giovedì 1 Aprile 2010 - Il Manifesto

MEMORIA

La Resistenza vuol dire futuro

Alessandro Portelli

COLTURA
Sto lavorando a un CD e a un libro sulla musica, la storia e le storie dei Castelli Romani. Faccio scorrere i file audio ricavati dai nastri di trenta o quaranta anni fa. Un'operaio di un cantiere edile occupato che per spiegarmi che cos'è il "sorecchio" con cui andavano a mietere sulle terre incolte dice, "è la falce, come quella che c'è sull'emblema della bandiera rossa". Le donne dell'Udi, l'8 Marzo '70, che cantano "noi siamo quella parte cosciente del popolo che lotta e lavora". La festa dell'Unità di Albano, nel 1975, l'italiano solenne degli inni proletari: "Ci hanno promesso un dimane la diman s'aspetta ancor". Tiberio Ducci nel 1976 che racconta le storie dell'insurrezione per il pane del 1898. Renato Trinca in un'osteria di Rocca di Papa nel 1969, uno stornello: "Vita da cani perché noi siamo tutti disoccupati". Silvano Spinetti detto Cicala, con l'orchestrina (il violinista aveva imparato a suonare al confino a Ventotene): "Uuno, non lo può saper nessuno, manco Andreotti col curato può saper per chi ha votato e se mai si pentirà...". E suo padre Dandolo, che veniva a Roma a portare il vino e che nel 1910 aveva composto in carcere i "comandamenti del socialismo":"Uno, evviva Giordano Bruno che diceva la verità...". E cantava la canzone dei partigiani dei Castelli: "Or che liberata è Roma il mondo intero insorgerà...".
Già, i partigiani. Apro il giornale e vengo a sapere che nei programmi dei licei la Resistenza non è nemmeno nominata. A risentire queste voci, sembra di parlare dei Templari, persone e passioni che sono esistite negli abissi della storia ma che non ci riguardano più. Eppure è passato così poco tempo, eppure queste sono persone che ho incontrato e ascoltato non secoli fa. "E' implicita", spiegano i funzionari della Gelmini - proprio come i Templari. Magari hanno ragione: anche nel programma del Partito Democratico si erano dimenticati di nominarla, la Resistenza, e gli abbiamo dovuto tirare la manica perché almeno a parole ce la rimettessero.
Alla parte cosciente del popolo che lotta e lavora, la Resistenza aveva fatto sperare in un domani - un domani da condividere insieme, non uno per uno in concorrenza con tutti. "La storia, non lo vedi, marcia verso la libertà", cantava "Cicala". Ma Roma è stata liberata e il mondo intero non è risorto, nessuno lavora con il sorecchio, e lasciamo perdere la bandiera rossa. E quanto alla storia, ci hanno perfino detto che era finita.
Per questo, insistere sulla Resistenza oggi non è questione di nostalgie, nè di combattere sulla carta le battaglie armate di settant'anni fa. E' questione ci capire dove possiamo andarla a cercare oggi, quella speranza, quel domani, quella storia, e con quali strumenti e con quali simboli. Resistenza non significava passato, significava futuro (sono al futuro i verbi di quasi tutti gli inni popolari e di tante canzoni partigiane); ma è proprio il futuro quello di cui oggi sentiamo la mancanza. Arroganza del potere e rassegnazione dell'opposizione convergono: cancellare o dimenticare la Resistenza significa affermare o accettare che il mondo non cambierà mai, che il potere starà sempre nelle stesse mani, che noi non possiamo fare altro che adattarci e rassegnarci a tirare avanti, ciascuno come può. E aggiungerei: per vivere così, non c'è bisogno di conoscenza. Possiamo far sparire la geografia dalle scuole, ridimensionare la letteratura nelle università, immiserire la storia, impoverire la lingua. E saremo sudditi disponibili e muti, senza visioni di altri mondi, altri luoghi, altri tempi.
Pure, la storia non è solo quella che sta scritta sui libri e che impongono i programmi ministeriali e che si ricordano i programmi dei partiti. Anche i Castelli sono cambiati, nei pochi decenni da quelle ricerche (mi ricordo dieci anni fa il figlio di un ucciso alle Fosse Ardeatine che si diceva comunista ma votava Berlsconi perché diceva che fa gli interessi della sua piccola azienda). Però: non sarà la stessa cosa, ma comunque in queste disastrose elezioni regionali la Emma Bonino a Genzano ha preso il 61,9% e persino i rottami della sinistra fra loro hanno racimolato più dell'8%. Forse da qualche parte, un po' afona e un po' vergognosa, un poco di resistenza con la minuscola si annida ancora.

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Crediti e Contatti
© 2010 Francesca Picone