Caro
Papa, vorrei chiederti subito che quell'attenzione che Giovanni Paolo
II ha avuto nei confronti dell'Africa sia anche la tua attenzione.
Nessun continente sta soffrendo quanto questo.
Nella
Sollicitudo rei socialis, il miglior documento in campo sociale di
Giovanni Paolo II, il tuo predecessore suggerisce che la chiesa potrebbe
alienare parte dei propri beni per andare incontro ai bisogni degli
ultimi. Io credo che le chiese, d'Occidente in particolare, dovrebbero
mobilitarsi anche su questo versante per far partire una nuova valanga
di solidarietà nei confronti delle chiese d'Africa: non parlo
di elemosina, bensì di un'attenzione progettuale. Credo che
come chiesa potremmo farcela.
Questa,
per me, non è una questione solo etica. È una questione
teologica che tocca la nostra stessa fede: non possiamo tenere insieme
nella stessa chiesa "uomini dei dolori" e altrettanti "Pilato";
(come ha scritto il teologo e tuo amico Johann Baptist Metz) perché
è chiaro che siamo anche noi cristiani responsabili di tanta
sofferenza umana.
Se
tu riuscissi ad avviare questa dinamica nella chiesa, ne trarremmo
tutti un gran giovamento.
Un
passo di questo genere ci darebbe modo anche di cambiare una mentalità,
radicata nelle società e anche nelle chiese occidentali, che
ci ha indotto per lunghi secoli a disprezzare sia le culture sia le
religioni tradizionali africane. Eppure oggi sappiamo che l'Africa
è la nostra madre. Non solo: aggiungo che l'Africa è
il polmone antropologico del mondo, una ricchezza che dobbiamo cominciare
a cogliere, ad apprezzare, ad ammirare, a sostenere.
Se
tu, caro Papa, ci guiderai in questa direzione, sono convinto che
la chiesa farà passi in avanti verso ciò che chiamiamo
inculturazione del Vangelo, cioè quel processo per cui la Parola
prende carne nelle diverse culture e non assume solo una coloritura
culturale superficiale.
A questo
riguardo, bisogna dire che in questi ultimi anni ci siamo davvero
bloccati, se non abbiamo fatto passi indietro. C'è bisogno
di tornare a riflettere su ciò che ci hanno detto alcune grandi
voci africane: penso, ad esempio, al cardinal Joseph-Albert Malula,
arcivescovo di Kinshasa, o al cardinal Hyacinthe Thiandoum, arcivescovo
di Dakar.
Quest'ultimo,
al Sinodo africano di Roma nel 1994, ha detto con grande serenità
e franchezza che le chiese africane non devono elemosinare una loro
liturgia perché ne hanno semplicemente diritto. Come hanno
diritto a una loro teologia.
Per
questo, visto che il tuo predecessore ha già convocato un nuovo
Sinodo per l'Africa, sarebbe bello se diventasse un Concilio africano,
celebrato in Africa. Per poter davvero avere una chiesa che sia autenticamente
cristiana e autenticamente africana.
Mi
sembrano essere queste alcune grandi traiettorie che, tra l'altro,
possono rappresentare una credibile risposta all'islam. La sola, autentica
risposta che possiamo dare all'islam è dimostrare che l'esperienza
cristiana può profondamente incarnarsi in Africa e diventare
un cristianesimo africano. Con la speranza di avere presto un Papa
nero.
Mi
piacerebbe se tu ,caro Papa, ricordassi alla chiesa d'Occidente, alla
"tribù bianca" (come ci chiamano a Korogocho) che
deve essere convertita. Se la tribù bianca non si convertirà
- agli ultimi, al rispetto dell'altro - non ci sarà futuro.
Ecco allora che la missione diventa davvero globale. E che Gesù,
che vuole che ci sia vita per tutti, sorregga te - come ha fatto con
Pietro - e ti induca a prendere il largo e a gettare le reti