Il Nobel
portoghese appena scomparso considerava Berlusconi un pericolo
per la democrazia e la Chiesa di Ratzinger una nuova nube di
oscurantismo
José
Saramago era il più grande scrittore vivente. Uno
di quei rarissimi scrittori che quando incontri un suo libro
- per te il primo - poi li leggi tutti, uno dopo l'altro, perché
entri in un intero mondo che senza di lui non sarebbe mai esistito.
Per questo era un classico già in vita. Prima di Saramago,
mi era capitato solo con un altro scrittore, Bohumil Hrabal,
e quando seppi della sua morte fu come fosse morta una persona
che conoscevo, una persona cara. José Saramago ho invece
avuto la fortuna di conoscerlo davvero, anche se troppo tardi,
di vivere - mia moglie Anna ed io - con lui e con la sua Pilar una nuova amicizia, cosa che quando si va avanti con gli anni
diventa cosa rarissima. L'amicizia di un uomo straordinario
per semplicità e profondità, che continuava ad
avere una carica di passione civile anche nel declinare brutale
delle forze.
Lo avevo
incontrato l'ultima volta qualche mese fa a Roma - quando era
venuto a presentare il suo libro "Quaderno", rifiutato
da una casa editrice Einaudi ormai prona per non scontentare
il ducetto, che nel libro veniva trattato come meritava, e pubblicato
da Bollati Boringhieri - e nei pochi anni passati dal precedente
incontro mi era sembrato cambiato moltissimo, dal punto di vista
fisico, della sofferenza fisica, della stanchezza. Ma era assolutamente
lo stesso per la generosità che lo animava, la voglia
di continuare a combattere su ogni fronte che gli si offrisse.
Questo era
il suo amore per la vita, che in lui faceva tutt'uno con tutte
le altre gioie della vita, e con il suo amore per Pilar che
traspariva in ogni gesto. Saramago poteva "vivere di rendita"
anche civilmente, anche politicamente, essere un "monumento
vivente", che piace a tutti perché dice "grandi"
cose (e magari giuste) sulla pace, sulla eguaglianza, sull'ecologia...Essere
insomma politicamente innocuo e superfluo, come tanti personaggi
famosi sulla scena mondiale, che non sono mai scomodi per i
potenti con nome e cognome. Saramago invece era l'opposto, sapeva
che ogni ingiustizia ha un nome, di persona o di istituzione,
perché i peccati, da che mondo è mondo, sono sempre
gli stessi, e non ha senso denunciarli se non si denuncia anche
il peccatore.
Considerava Berlusconi un pericolo per la democrazia in Europa, un
virus contro le libertà, capace di contagiare altri Paesi,
per questo non si stancava di denunciarlo e di stigmatizzare
la superficialità e la disattenzione con cui il suo regime
sempre meno distante dal fascismo veniva trattato dai media
europei. Quasi si trattasse di una pochade, anziché di
una tragedia.
E considerava
la Chiesa gerarchica di Ratzinger una nuova nube di oscurantismo.
Proprio su questo giornale, aveva scritto che forse era venuto
il momento di un "ateismo militante", a cui come ateo
"tranquillo" (l'ateismo come condizione ovvia di ogni
spirito critico) non aveva in precedenza mai pensato. Lui, ateo,
dalla parte degli ultimi, sempre, e perciò sempre più
contro una Chiesa dedita a Mammona e a reprimere le libertà
umane dalla nascita alla morte. José mi mancherà
moltissimo.
Da il
Fatto Quotidiano del 19 giugno 2010 |