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La felicità porta fortuna

Di Mike Leigh

Una musica a volte ha il potere e l'ardire di farti tuffare subito dentro il tono del film, e questa lo fa in modo canzonatorio, come una ninna nanna è fiabesca, ma come un horror umoristico non ti lascia dormire, come il canto di una sirena che voglia solo mostrarti una lucciola di libertà, come la provocazione sorridente che passeggia tra le mura dei grattacieli grigi e tristi. Così è Poppy quando lo zoom porta subito giù sulla terra di asfalto i riflettori, c'è lei che pedala, felice come fosse altrove ma passa vicino al treno (che va al contrario), alle macchine, gli autobus, con il sorriso e la sua bicicletta. Dietro di lei, le foglie degli alberi verdi che catalizzano lo sguardo, fanno sembrare anche il resto meno grigio. Catalizza lo sguardo lei, Poppy, 30 anni, che pedala verso casa. Sprizza il sole da tutti i pori, è contenta di dove abita, di cosa fa. Saluta i suoi vicini e i conoscenti con delle facce e un'espressività che raccontano storie anche senza parlare. Una delle scene iniziali del film vede Poppy nella libreria dove non era mai entrata, con uno dei suoi primi muri da affrontare, il commesso, il suo sguardo solo e infastidito al contatto. In questa libreria c'è un manuale sulla ricerca della realtà. Lei ride fa le smorfie di ammirazione e fa spallucce all'alta sapienza che non vuol gioire. Il suo approccio a lui, il commesso, è diretto, interessato, un po' imitativo e divertito. Quando lei esce vediamo che è un pesce fuor d'acqua dal tipo che entra dopo, coloratissimo e occhialitissmo intellettuale rosso. Classico. Eppure questa scena come le altre svela un segreto. Non opporsi con le armi ma con una intelligente compassione, fare la parte del gioco, senza arruolarsi. E' pericolosa; qualcuno dice. E' in pericolo; lo pensa la sua amica. Ma lei ha una vita scelta, difficile a volte, ma lo ha scelto lei. E la scuola che lei ci presenta, con la sua collega amica, dove persino la direttrice diventa una compagna di flamenco, dove un bambino difficile non diventa un caso e dove anche l'assistente sociale ha cuore e occhi brillanti, tanto leggero il suo mondo che niente resta a pesare a lungo, tutti i nodi dove lei passa si sciolgono prima di diventare pietre. Fortunata, certo. Ma la fortuna a volte bisogna saperla cercare. Con le amiche nelle ore libere dal lavoro fa defluire insieme tutti i fatti "del mondo" con una risata che è come un abbraccio, con un ironia che prende tutto, anche loro (" - Fatti aiutare da un adulto. - Non ne conosco.") con una libertà che concede tutto, e tutto scioglie. Si diverte, non smette mai di essere se stessa e sta bene, certo non è in paradiso, è comunque circondata di muri e lo sa, ma di questi lei ne fa un gioco. Ride. Ne ride. Ma sa farlo senza rabbia, non è uno scoppio di frustrazione sbloccata. Sa lasciare di stucco i più ostinati e accaniti "rieducatori". Sa tenere lo sguardo di un delirio anche se si avventa su di lei, quel delirio dice "lo sai, lo sai di che parlo". Lei dice "lo so", ed è vero. Anche un delirante per un momento ritrova il filo della comunicazione, con lei. Che lo fa per solidarietà, compassione, o solo per comunicare. Sa del suo essere diversa quasi ovunque vada, ma non come una coscienza di difetto, semmai come un contrasto di due molecole che fanno BAM, e da lì nasce la vita. Anche davanti al peggio, lei esclama, che meraviglia. Non è stupida. La sua ironica e continua provocazione vuole stanare la preda, che è: le tutte mille contraddizioni di questo mondo buffo. Gli edifici. Sono alti 600 metri in altezza e 600 metri in profondità. Lo ricorda e rinfaccia come la sua tutta sapienza triste, uno dei personaggi di questa storia, la controparte della lucciola, o solo un istruttore guida che avrebbe fatto altro se questo mondo gli stava a genio "Non funzionava tra me e la scuola", se il "sistema" che schiaccia le individualità non ci fosse, ma c'è ed è questo che a lui preme ricordare a quella discotecara irresponsabile e spensierata. L'idea è che essere comunicativi è essere devianti. Eppure lui stesso si accorge del suo pregiudizio quando scopre che lei fa la maestra. Questa è un'idea del sistema, che per quanto l'istruttore voglia insegnare a Poppy, lui ne fa parte, nello stesso atto di mostrarglielo. E questo personaggio come gli altri lotta nel suo intimo segreto (e non tanto intimo) tutte le forme di omologazione che spengono l'essere, ma di fatto nello stesso lottare riafferma questa forma di vita stressante, competitiva, omologante. I giudizi che si fiondano su questa lucciola, Poppy,non sono che il nemico interno contro cui il buon resto dei personaggi (la sorella, come l'istruttore, vorrebbero responsabilizzarla) lotta ogni notte. Lei, sa che la vita è un lungo viaggio e vuole incontare tutte le facce, andare fino in fondo, far felici tutti? Sì. "Che male c'è a provarci?". Comunicare a tutti: "Sorridi alla vita". Questo film è il vero manuale che serve, ai tempi di oggi. Sì, perché il riso aiuta a superare i muri, a fare parte del gioco senza identificarsi nel ruolo. E, soprattutto, a chiamare la fortuna, con un sorriso.

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