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Sale sulla città

Ogni volta che Simone non sa che pesci pigliare va dalla signora morte. Solo lei può capirlo, con le sue orbite nere sul naso aquilino, i denti esposti sulla pietra, la mascella trionfante poggiata sull’osso, chissà quando conquistato. Lei sa guardare i suoi compagni di gioco nella piazzetta dove mettono il Supersantos a rotolare, e sa dirgli chi davvero ha vinto. Simone si fida di lei, forse è un antico eroe trasportato in secca dal mare, inamovibile arbitro. Sa che il teschio può vedere tutto e conservare nelle sue orbite ogni segreto. Perciò resta spesso e volentieri con la signora.
Ma non questa volta; il suo passaggio è tanto più veloce quanto deciso, importante.
Il fiore in bocca te l’ho messo, ora dimmelo, fammi i nomi che pure tu guardi.
Non ha tempo da perdere con la signora morte, ma le porta rispetto. Scava con il suo sguardo di sfida dentro l’incavo degli occhi, fissa le orbite nere come per sentire la voce più oscura che una donna abbia mai avuto nei tempi.
Dimmi se sono loro, che devo andare a’ mmazzare.
Due uomini: uno col viso paffuto e rosso di un irlandese, capelli ricci e corti, biondi, un sorriso di chi ha appena imparato a stirare la bocca; un altro più grande, pelle scura, capelli corti e nerissimi, viso quadrato, e una risatina di chi lo sa fare da anni a bocca aperta, estorcere un pizzo. La signora morte guarda dove anche lui vede.
Sono quei due muccusielli, allora.
Ma non li toccare, ha aggiunto la signora.
Simone si sente sfidato. Era quello che si aspettava dalla signora morte. Se non ci pensa lei farà qualcosa lui per mettere fine alla storia. Lo farà per don’Antonio, suo padre, il suo catechista, il suo insegnante privato, l’angelo che gli ha evitato la scuola.
Quando Simone ebbe appena l’età per capire lui gli rivelò il segreto della vita, che la signora non avrebbe potuto spiegare.
Simone, gli disse, la nostra terra è sempre stata un regno. Quelli che si sono passati la mano nei secoli oggi non sono re, eppure la comandano dal basso delle sue viscere.
Io la tengo una regina, è la signora.
La tua regina non partorisce. Noi teniamo una madre sola, vedova, celeste e salata. Ha partorito due gemelli nel nostro regno, e un fratello, lontano.
Un fratello. Dov’è?
Simone avrebbe voluto avere un fratello, per non cercare tutto da solo.
Lontano, in Sicilia, dove iniziano da sempre le rivolte, c’è un vulcano che esplode quasi ogni estate, ma nessuno si spaventa, i turisti salgono quasi fin sotto la sua bocca. È tuo fratello, ma fa tutto da solo, come te. I due gemelli che vivono da noi invece sono spenti, quasi impotenti, inattivi, sono vicini, ma opposti. Uno è sott’acqua, l’altro la sovrasta.
La vedova salata?
Sì. La madre ha preso fuoco insieme a tutto il resto quando il secondo suo gemello ha deciso di esplodere.
Come fa l’acqua a prendere fuoco?
Nemmeno tutto l’azzurro del mare può spegnere il fuoco di un vulcano.
Pure se esplode il primo, da sotto?
Il primo gemello non esploderà; è destinato a implodere, scoppiare da dentro. E quando lo farà, la madre nostra non avrà spazio per il suo ventre, e si rivolterà, sulla nostra terra.
Allora saremo forti come nostro fratello?
Allora inizierà la rivolta.
Sono entrati, proprio nell’unico minuto buono della giornata, c’era una cliente e, mentre quella nell’aspettare che il pasticciere gli impacchettasse i dolci si guardava intorno e mirava le pareti arancioni appena verniciate, loro hanno preso a sfottere. Prima il giovane.
Don Antò, come andiamo, ancora nessuno, eh? Niente cassa nemmeno questa giornata? E mò comme se fa? Qand'è che vi mettete a posto! Poi è entrato il capo. E il giovane gli ha fatto, con una parlata in dialetto smorfioso, con la bocca stretta e scherzosa, gli ha detto, vabbè, allora conviene questa Findomestic?
Il giovane rideva poco ma il capo suo rideva di più, e diceva, è giovane, scherza. Poi, tutto serio e pensieroso, ha detto tra sé, ma abbastanza forte da farsi sentire da Antonio, e pure dalla sua cliente, ha detto, va a finire che dobbiamo aprire il tunnel all’autostrada.
La cliente è uscita perplessa, e al primo incontro di una vecchia amica sul crocevia si è sfogata.
E meno male che tenevo solo spiccioli! Quelli volevano vedere se cacciavo un bigliettone, e quel pover’ uomo quasi mi ringraziava per il mio silenzio! Ha preso le monete e le ha fatte tintinnare tra loro, così quelli avrebbero capito che non c’era ancora nessun biglietto da poter pagare il pizzo. Pover’uomo, ma non c’è un’associazione che difende i negozi da questa vergogna?
L’amica sul crocevia con uno sguardo quadrangolare le ha risposto, sì che c’è, ma la sua fondatrice fa parte di un ordine. Cavalieri del lavoro.
E allora?
La giovane cliente perplessa proprio non riusciva a capire.
Un ordine difende solo se stesso, le ha rivelato l’amica.
Simone era lì e ha capito tutto. Aveva già visto come vanno le cose, mentre ancora stavano nel quartiere loro, giù a Foria, di spalle all’orto botanico; si è trovato dal salumiere mentre due bravi, come questi ma solo più sfacciati, chiudevano le saracinesche con tutti i clienti dentro; solo un gesto, poi hanno riaperto, tanto per fare intravedere le conseguenze, a tutti. Anche lui sa che non c’è cavaliere a fare il lavoro per un altro e che nessuno può difendersi se non ha un ordine che gli copre le spalle. Però almeno sperava che sulla collina non c’era da armarsi. Lui e suo padre credevano che su al Vomero sarebbero stati liberi. E al principio lo erano. Ora però, forse la pasticceria a via Pigna col laboratorio già pronto comincia a fare gola a qualcuno.
Non lo fanno neanche più di nascosto, anzi, usano i testimoni, clienti del quartiere, perché il negoziante davanti al silenzio e alla paura generale, prenda a vergognarsi di più, come una vera vittima deve fare. Simone ha sentito dire che il salumiere se n’è scappato a Formia, da una parente. Anche loro hanno una zia a Formia, ma il discorso è chiuso; Simone non vuole andare a Formia. Ogni volta che una serranda si chiude o un negozio è bruciato lui stesso avverte una fitta di vergogna provenire da quelle mura. Ora vuole mettere fine alla storia di suo padre perdente. Gli si stringe il cuore a pensarlo adesso; suo padre dice che se un cliente entra e trova il negozio vuoto mentre sta in laboratorio a preparare, lui non si vergogna di andare alla cassa con lo stesso camice bianco che tiene per cucinare; il cliente capirà dalla vernice fresca che l’attività è appena cominciata. Ma se lo vedono con i capuzzielli, allora no. Capiranno tutti che non è un uomo libero. E non è, un uomo libero, pensa Simone. Pure se gli ha detto, guarda Simo’, io con una risata so mettere tutto a posto, a quelli gli piace di ridere, vedrai che li faccio sparire subito, con una sola risata a crepapelle.
Don Antonio ha detto al primo muccusiello arrivato a riscuotere che lui lavora per la Findomestic, cioè lavora solo, questa è un’azienda di famiglia e l’unico adulto della famiglia tra lui e il ragazzo di quindici anni, è lui. Era solo un giovane mandato in avanguardia, prima. La Findomestic è una battuta che l’ha fatto uscire tra tante risate che, peccato, non erano proprio da crepapelle. Poi è venuto anche il capo. E adesso hanno preso a ridere di lui davanti ai clienti, tanto per cominciare a fargli assaporare la vergogna.
Simone non vuole andare a Formia perché già sa che lascerebbe indietro una pietra con sopra scritta la sua, di vergogna, una pietra che non fa paura come la morte, inutile come la rinuncia alla libertà in favore della sopravvivenza, una pietra bruciata che serve solo a ricordare ai rimasti quel qualcuno che non ce l’ha fatta. Si immagina che in chiesa fanno le preghiere per questi svergognati come si prega per le anime del purgatorio. Nessuno che si alzi e smetta un attimo di pregare. Anche qui a via Pigna, per quanto possa essere grosso lo scandalo, se non c’è un ordine di cavalieri fratelli a prendere le armi nessuno si solleva. Neanche quella cliente, così carina, con il visto tondo e con il caschetto, farà qualcosa. Simone non spera più nulla, ma vuole reagire.
Tiene solo un coltello, corto e chiatto, ma sa usarlo. Sa farlo rotolare fino al suo goal come fanno i piedi col pallone.
Fischia un vento freddo, lento, deposita le sue acque umide fin dentro ogni panno, marchia le ossa. Agosto volge alla fine. Il mare giù alla città si prepara ad alzarsi. Don Antonio si prepara ad aprire Le Delizie. Durante l’ultimo suo sguardo al fuoco prima di aprire il negozio e la saracinesca, si accomoda sotto al camice, nel suo maglione di lana, frutto dei ferri a mano e dell’amore paziente di sua moglie, tanti anni fa. La sua maglia si fa più morbida, al caldo del forno, ma lui rimane in piedi e non si decide a infornare.
Oggi qualcosa gli diceva di non andare a lavorare. Questa mattina domenicale avrebbe fatto a meno di aprire al negozio, al vento, al giorno, se non fosse stato per Simone. Sta zitto per lui, almeno così crede. Sennò andrebbe a denunciare, perché una denuncia vale una sfida, a un duello impari, però. Certo potrebbe fallire senza sfidare nessuno, e partire. Formia gli sembra il paradiso degli eletti, non dei fuggiaschi, come li vede Simone.
Oggi riapre, ma il negozio è vuoto. Sente che sta per venire una seconda invasione, meglio non rischiare. Quando apre la serranda il vento del mare gli sale addosso, non sente già più il maglione sotto al camice. Si chiede se quella piccola e gracile cliente di ieri passerà; non troverà nemmeno un cornetto. Il negozio vuoto gli fa ricordare l’inizio del suo sogno. Era così felice al pensiero di dare a mangiare il suo lavoro. Si ricorda di lui giovincello e sua madre che cercava di ingrassarlo coi pasticcini. Rivede in volto la sua ultima cliente e il suo sguardo interrogativo. Ha capito tutto, ma si è saputa comportare. Ha fatto sgocciolare le monete sulla mano, nel modo in cui voleva lui. Non ha chiesto la ricevuta, pure se la prende ogni volta che viene, sorpresa e contenta come se fosse il regalo di un vecchio familiare. Stavolta però non è andata via spensierata come sempre; sembrava immersa in un conto di cui non riusciva a ricavare il risultato.
Don Antonio, che da quando ha perso la moglie è sempre stato di una gentilezza calorosa ma distante nei confronti delle donne, oggi vorrebbe sedersi su un muretto del lungomare di via Caracciolo e parlare con la sua cliente più fragile e forte, non sa neanche lui di cosa, sicuro non di quello che succede in città. Sarebbe come fare i conti senza i numeri. Avrebbero sorvolato i tetti come due gabbiani che possono alzarsi e scagliare canti di grida acute nel bel mezzo delle mura nascoste dai tetti; poi, dopo aver svolazzato su Napoli, sarebbero andati a Formia, insieme avrebbero dipinto di azzurro un nuovo laboratorio e lì, l’avrebbe assunta come cassiera. Simone le avrebbe parlato come a una sorella più grande. Avrebbe smesso di farsi fuorviare dall’incanto del Vulcano, dal fuoco del guerriero, dalla sua signora morte. Don Antonio vorrebbe tenerlo fuori, ma lui si ficca sempre più dentro alla sua tristezza di sera e le sue faccende al negozio; è un animo generoso, vuole aiutarlo, ma è troppo vicino, non può. Solo da lontano possono tramutarsi le cose in un misto di riso e comprensione; lontano dai colori si ottiene il bianco.
Non lo sa, don Antonio, ma la cliente non viene, e neanche i due bravi verranno, perché il mare s’è già preso la città, dal basso. Ora sta salendo tutti i vicoli che trova. Presto raggiungerà il Vomero. Il mare s’è alzato senza infuocarsi, perché il vulcano sottomarino, primo gemello del Vesuvio, non è esploso, ma è franato da dentro.
La schiuma bianca si è presa il suo ingresso in via S. Lucia, ha dipinto un sorriso sulla serietà delle saracinesche lussuose, si è ramificata tra i vicoli ed è salita, senza chiedere il permesso, per via Stella, via degli Spagnoli, via Aldobrandini. I vicoli visti dall’alto sembrano un unico enorme spiazzo bianco, interrotto solo dai tetti e i suoi colori pastello. La schiuma bianca ha invaso le sedie agli ingressi e i portinai di quartiere; se n’è infischiata dell’usanza di mostrare la sua provenienza e il suo obiettivo. Nessuna meta, nessun centro, nessun appuntamento, nessuna scusa per la sua invasione. Come la neve bianca su un paese di bassa collina che dura il tempo di una sorpresa, si è incamminata per intrattenersi, quel tanto che serve a far restare un segnale, nelle memorie e nei cuori. Acqua bianca sale su anche per la collina del Vomero, come un serpentone che ingrossa la terra al suo passaggio sotterraneo; nessuno la trattiene.
I bambini non festeggiano come si usa quando la neve chiude le scuole, i passeggianti si sono già ritirati, le macchine sono rimaste vuote nei loro parcheggi, Napoli è come una città che non sia mai stata solcata. Vuota e deserta, morbida e bianca. Nessun motorino in picchiata sulle discese. Solo un vecchio scivola per Salvator Rosa, felice come fosse un bambino in slitta, giù, fino al Cimitero delle Fontanelle per cercare suo figlio, ma anche perché oggi vuole ringraziare la signora e dare un bacio al suo teschio, come fosse sua moglie, viva.
Don’Antonio ride perché non avrebbe mai pensato che da vecchio si sarebbe messo a immaginare il futuro. Lunghe strisce di arcobaleno per terra, poi l’acqua esalata e il sale seccato al sole, nessuno fa parola, ma il segno è stato inciso. Si vede già nonno raccontare ai nipoti:
Questa città era senza gioia perché qualche uomo arrabbiato metteva il lucchetto a tutte le bellezze, e se non poteva metterlo allora le bruciava, finché è arrivato un mare che per fratello aveva il fuoco. Il vulcano invisibile si è abbassato, il mare si è alzato e si è ripreso Napoli, senza fare violenza, più forte di Ghandi; la sua vittoria nel solo mostrare; basta un unico atto di volontà, supportato dal vento, per levare il volante a tutti i timonieri senza gioia.
Don Antonio abbraccia suo figlio senza fare parola, festeggiano, la montagna si è abbassata e il vento ha consegnato il timone a chi domandava solo una vista sull’orizzonte.
Simone ride perché ha capito cosa voleva dirgli la signora, che ora tiene una parrucca bianca e ride anche lei, col suo fiore ancora in bocca. Non sono gli unici a ridere; timidamente qualcuno appare da sotto le saracinesche mezze aperte, esce, esclama, ih che guaio, assa fa ‘a maronna, ‘o vient’ è arrivato!
Gli occhi di chi ama il mare si incontrano in questo giorno. Non sono pochi, sono tutti; chi non lo ama ci è finito sotto.

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