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Green pass. Come vendersi l'anima.

Si va verso l'ID, identità digitale. Quando si dice “vendersi l’anima al diavolo”. Era un modo di dire. Oggi è una realtà: la vendita di esseri umani, con tanto di codice.
Spiegherò perché, secondo me, il green pass, oltre ad essere anticostituzionale, l'inizio di una deriva autoritaria, un ulteriore mezzo della dittatura globale, non è uno strumento sanitario ma politico e culturale; lo strumento che segna il passaggio dal consumismo al transumanesimo, un passaggio tra l'altro, geometricamente formalizzato: dal segmento, al quadrato.
Veniamo alla storia di questo codice.
Il barcode, codice con cui sono identificati gli oggetti in commercio, è nato all’inizio degli anni ’70. Il barcode è caratterizzato da un rettangolo di barre verticali nere, di spessore diverso, intervallate da barre bianche. Nasce per “automatizzare” la gestione degli “articoli in vendita nei supermercati”.
Il QR code è il passo più in là che nasce per identificare parti di automobili in fabbrica, prima del loro assemblaggio. Non è un rettangolo ma un quadrato in cui si inserisce una matrice di quadratini bianchi e neri. La sua codifica non rileva soltanto il codice identificativo dell’oggetto. Tramite la sua matrice si possono memorizzare 4296 caratteri alfanumerici. Ha lo spazio per identificare messaggi complessi, immagini, dati anagrafici. QRC sta per Quick responsive code. A differenza del codice più sviluppato RFID, identificazione della radio frequenza, il QR code può essere letto velocemente tramite uno smartphone e può diffondersi nei link di prodotti da reclamizzare. Viene utilizzato anche per ottenere coupon e codici sconto per alcuni prodotti in vetrina. (l’intelligenza artificiale di un umanoide può comparire in qualità di assistente digitale che propone questi codici sconti al cliente). L’informazione che incorpora un QRC può essere facilmente letta e scannerizzata anche in assenza di connettività. Trattandosi di un codice che gira sulla rete, può essere utilizzato da malware e virus per fare acquisti a nome del suo proprietario, per rubare dati o indirizzarlo a siti pericolosi.
Ed ecco il passaggio: se nell’esperienza della generazione Z (i nati dopo il 1996), cresciuta a pane e tecno, questa intelligenza artificiale, data per scontata, serve ad ampliare le proprie possibilità ed a fruire di un beneficio consistente anche nella diminuzione del costo e della fatica nell’acquisto di un prodotto, il codice identificativo veloce, applicato alla persona stessa, è qualcosa che cambia del tutto il campo ed i parametri di valutazione dell’eventuale “beneficio”. Se prima poteva trattarsi di un valore aggiunto per il consumatore, ora, che questi codici sono applicati al consumatore stesso, di cosa si tratta? Il “consumatore” non è più il centro attivo di un’esperienza digitale, ma diventa egli stesso l’oggetto sottoposto all’identificazione. Un oggetto che può, quindi, vendersi e pubblicizzarsi. Ecco cosa diventa l’essere umano.
Il codice applicato all’essere umano, c’è da dire, è solo una formalizzazione di un processo di trasformazione culturale della percezione del sé, che avviene oramai da moltissimi anni. Già il passaggio dal codice di riconoscimento del prodotto al codice di riconoscimento dello shopper è avvenuto. L’esperienza del cliente monitorata dalla tecnologia o dall’intelligenza artificiale già conduce a quel tracciamento utilizzato a fini di marketing e pubblicità invasiva, sebbene, come si dice, personalizzata. Il codice applicato alla persona a cosa condurrà? Non più l’individuo consumatore, ma l’individuo prodotto, che in quanto tale può essere venduto e comprato. Volendo, anche assemblato. Di qui al transumanesimo il passo è breve.
Come viene percepita l’esperienza di contatto con un umanoide? Nelle intenzioni degli artefici di questo passaggio cognitivo e culturale questa è un’esperienza che non deve servire tanto e solo alla fruizione di un servizio, quanto alla trasformazione di sé, da consumatore ad oggetto, attraverso un meccanismo cognitivo comportamentale. L’artefice di questo passaggio si nasconde sotto il campo del “green”, la tecnologia green. Uno per tutti, il ministro per la transizione tecnologica, Cingolani. "Umani e umanoidi. Vivere con i robot”.
Chi ha fatto la sola esperienza di ascoltare per più di un’ora dei robot annunciare le notizie di un telegiornale, rispondere all’ intervista di un conduttore televisivo, conosce l’effetto. Ci vogliono dieci minuti buoni, poi, per staccarsi da un’involontaria imitazione del comportamento robotico. Ci si muove come un robot, si pensa come un robot. La complessità della persona, che è dotata di anima, di psiche, di prana, di emozioni in cui si condensano energie che non sono solo memorie artificiali, viene meno. Ed è proprio questa l’intenzione. Non si tratta solo di adattarsi al progresso di una tecnologia che deve servire all’umanità. Ma di far “progredire” l’essere umano, la sua intelligenza, che a contatto con un umanoide, in un processo di apprendimento per osmosi, uniformerà la sua intelligenza a quella robotica per un semplice meccanismo, involontario, di imitazione. Rimediare, così, a quello che Cingolani chiama il terzo debito, dopo quello ambientale, economico, quello cognitivo.
“L’intelligenza algoritmica non ha creatività, personalità”. Però garantisce l’equilibrio fra la stupidità umana e l’impersonalità artificiale, che ha il vantaggio, dice sempre Cingolani, di non poter impazzire.
Siamo già passati dal pulsante al tast screen. Abbiamo scambiato il cervello dell’essere umano con una macchina, la medicina con il meccanicismo, fino a far diventare un medico qualcosa di molto simile ad un meccanico. Il passaggio dall’essere umano attivo a quello passivo è ad un passo.
Cosa ci aspetta, quindi, secondo lo stesso Cingolani? “La sfida per il futuro: studio degli aspetti regolatori dell’etica delle macchine e delle regole di comportamento in una società mista umani e umanoidi”.

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