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Intervista a un ex soldato che alla guerra ha preferito l'artigianato

Al momento in cui si realizza questa intervista, un po’ informale, proseguita come una chiacchierata interessante, Mimmo Musumeci si trova in Lituania e tramite videochiamata posso vedere con quale ordine lì, in quel paesino a venti chilometri da Kalingrad, si tengono le strade, i giardini. Ma non è questo il motivo per cui gli ho chiesto una intervista in piena regola anche se un bel po’ informale. Il motivo è che ad una mia proposta (chi vuole far parte dell’Onu non può far parte della Nato) lui ha risposto in modo secco e deciso come chi conosce l’impero della Nato meglio di me che ho avuto questa idea fulminante. Il mio interesse ad approfondire si è fatto impellente e grande.
Mimmo Musumeci è stato un soldato volontario negli anni in cui si cominciava con la scusa della guerra al terrore quella guerra mondiale a pezzi che deve tenerci nel terrore e nella miseria tutti quanti. Appartenente ai Media Combat Team con il compito di documentare con foto e video, come sottoufficiale di base a Roma, è partito per l’Afghanistan, anche lui, credendoci. Oggi fa oggetti di cuoio e non parte per nessuna guerra da un bel pezzo.
Al momento della nostra intervista lui è in Lituania, negli stessi giorni in cui i quotidiani ci informano col dovuto terrore che Putin vorrebbe espandersi anche nel Baltico, pare lo abbia proprio dichiarato. Ad oggi che ricopio questa intervista il Baltico è sempre lì, nessuna invasione.
La mia prima domanda è stata su questi Paesi Baltici, e il mio obiettivo finale era comprendere cosa porta un uomo che ha scelto di fare il soldato e lo ha fatto per anni a virare verso l’artigianato. Quello intermedio era cosa pensasse la gente di lì della paventata guerra in arrivo. Quindi, comprendere le dinamiche interne di questa guerra.
Il sole in Italia è tramontato, anche in Lituania, ma non è scesa la notte. Parto con le mie domande, che ripropongo qui, insieme alle sue risposte:

F.P. Soffiano venti di guerra da quelle parti? Ho sentito, dice, che Putin vuole rivedere i confini. Qui le notizie sono di terrore, cosa ne pensa la gente lì, nei Paesi Baltici?

M.M. La situazione è molto più complicata di quello che sembra; cominciamo a dire, questa regione qua, dove io mi trovo, oggi si chiama Lituania, e c’è il popolo lituano. A fianco ci sono Estonia e Lettonia. Sono tre popoli differenti, con tre lingue differenti, tre governi differenti, ma in realtà è come se fosse lo stesso popolo, sono sempre stati molto uniti, questi popoli, tanto che prima, tutta quanta questa regione si chiamava Livia. Nessuno la conosce come tale perché il governo livio non è mai esistito.
Qui si sono sempre succeduti tedeschi e russi. Qui la cultura, la tradizione, l’alimentazione, è molto più tedesca che russa. I tedeschi e i russi nel tempo si sono sempre contesi la cultura di questo popolo, con una eccezione: prima del Medioevo la Lituania non era cristiana, ma nel 1500 si convertì al cristianesimo per diventare un grande regno, la Prussia, sai la Prussia che stava sui libri di scuola e chi sa dov’era? Sulle carte geografiche non c’è. Era grande, era un impero, poi fu presa dalla Germania, poi dalla Russia, e così via. Col patto Molotov-Ribbentrop, nella seconda guerra mondiale, si misero d’accordo tedeschi e russi per spartirsi tutta questa zona. Tu fai la guerra alla Polonia, io ai Paesi Baltici e poi spartiamo.

F.P. Quindi, la lingua lituana, oggi non più prussiana, com’è diventata? Più tedesca o più russa? Si parla anche il russo dalle vostre parti?

M.M. Caduta la Germania, alla fine della seconda guerra mondiale, la Russia si prese tutto. Fino a trent’anni fa siamo stati sotto l’Unione Sovietica. Nel Baltico sono arrivate persone dalla Russia, che parlavano russo, sono state accolte e integrate senza problemi, e di più, siccome si era sotto l’impero sovietico tutti dovevano conoscere il russo, non solo i russi, così lo si studiava a scuola, sempre però conservando come prima lingua quella lituana. Oggi il russo lo parla, e lo sa parlare bene, metà della popolazione, non tutta. Sono gli anziani, che hanno conservato la memoria e non l’hanno rigettata. I giovani no, i giovani non lo parlano. Caduto l’impero, dopo il 1989, i russi che vivevano qui da anni, sono rimasti, con il benestare della popolazione autoctona. Ma le lingue baltiche non si sono mai mischiate e nemmeno omologate a quella russa. Le lingue originarie dei Paesi Baltici hanno delle influenze germaniche ma sono radicate in un tempo molto anteriore, quello dei primi coloni indoeuropei; una lingua molto più somigliante al sanscrito che alle lingue germaniche. Una lingua isolata nelle sue radici e poco contaminata, anche perché i lituani fino alla scoperta dell’America erano un popolo pagano, non riconosceva il cristianesimo, non socializzava con gli altri popoli che erano cristiani, vivevano isolati. Un isolamento che continua tutt’ora. Le case sono distanti un chilometro una dall’altra. Il paese più vicino, qui è a circa due chilometri e mezzo. C’è un negozio che fa anche da farmacia, una chiesa e una ferramenta. Punto. La religione pagana non è scomparsa e ce ne sono di due tipi: i Balti hanno una religione politeistica, legata agli spiriti degli elementi e della foresta. C’è un tempio pagano. Poi ci sono i Diutribi (Dievturi), così si pronuncia, sono i più scenografici, fanno manifestazioni, eventi, anche per attirare turisti. Il 15 giugno fanno una bella cerimonia, fanno il bagno a mezzanotte nei laghetti, dove poi mettono delle candele colorate che galleggiano.

F.P. Che mi dici delle estrazioni che approfittano dello scioglimento dei ghiacci? Sta diventando interessante per tutti il mar baltico, ci sono contese?

M.M. Non ne ho sentito parlare.Il ghiaccio congelato nei fondali. So che qui passa il Nord Stream, fuori uso. A 20 chilometri scarsi c’è Kaliningrad. Era una città tedesca, dove è nato Thomas Mann. Presa dai russi, come il resto durante la seconda guerra mondiale. L’indipendenza dei paesi baltici è stata ammessa con facilità, ma ad una condizione: che si lasciasse ai russi il porto di Kaliningrad. Un porto importante perché lì l’acqua ghiaccia poco. E da lì c’è la possibilità di andare all’Atlantico.

F.P. Quindi è una zona esplosiva adesso?

M.M. È una zona un po’ calda, sì, perché, che è successo: il governo lituano ha fiutato l’affare della guerra, perché la guerra è un affare.

F.P. E il popolo? Quel popolo che mette le candele nei laghetti, e che vive lontano dalla capitale, ha sentore di far parte della Nato? O non interessa a nessuno?

M.M. No, interessa, è molto sentito, infatti la Lituania appoggia molto l’Ucraina, ma non perché gli stanno simpatici gli ucraini, in realtà odiano gli ucraini, ma li appoggiano perché hanno fiutato l’affare, la guerra è un affare, quindi la Lituania ha cominciato ad interrompere i transiti delle merci tra Russia … e Russia! Negando il passaggio in questo piccolo corridoio, che non è Russia, quello che conduce al porto di Kalingrad. Hanno cominciato con blocchi, non facendo passare camion, e via dicendo.

F.P. C’è una crisi energetica nel Baltico? Qui i giornali la paventano.

M.M. Assolutamente no, l’economia sta crescendo, io vedo solo macchinoni in giro. Interi quartieri che costruiscono. E mi domando anche dove li trovano gli abitanti per andare ad abitare tutti questi quartieri che stanno costruendo. Qua ci sono pochissimi abitanti. Tutta la Lituania ha gli abitanti della Sicilia.

F.P. Ora torniamo indietro, agli anni precedenti il tuo stop alla guerra. Tu dove andavi a fare le tue “missioni di pace”?

M.M. Sì, sono chiamate così, tutte a sostegno della popolazione e missioni di pace, però sappiamo tutti che è un nome finto.

F.P. Tu avevi la convinzione, almeno all’inizio, di fare un lavoro per la società civile, no? Poi ci sarà stato un momento, nella tua vita, in cui ti sei reso conto che non era una missione di pace, no?

M.M. È vero. L’indottrinamento che ti fanno mentre sei in caserma, mentre sei ancora in patria, è un addestramento, ovviamente, certo non è un indottrinamento politico, ma è un addestramento, quello che ti raccontano, ma anche quello che ti raccontano i telegiornali, non è che ti raccontino cose diverse, ti raccontano questo, e ti fanno capire che tu vai lì per contenere una crisi, che va a discapito della popolazione e che potrebbe coinvolgere a livello politico anche la tua stessa Italia, per questo noi partecipiamo, se no che ci importa di andare ad aiutare gli afgani, che neanche sappiamo dove stanno, bisogna cercare sulla cartina geografica per sapere dove sta l’Afghanistan! Perché a livello politico è una crisi che potrebbe in qualche modo influenzare anche l’Italia, quindi, con questa idea, parti e vai lì. Ora, esattamente, cosa avviene, perché è quello che poi ti fa cambiare idea. Una volta che arrivi lì, hai, dico, armi, carri armati, elicotteri, ti porti da mangiare, da vestire e un sacco di cose che hanno anche valore, e il più delle volte questi sono posti anche un po’ disastrati, dove hanno bisogno di tutto e quindi tu ti devi proteggere, e ti chiudi in una caserma, una base, metti un bel filo spinato e non fai entrare nessuno, se no verrebbero e ti ruberebbero tutto in cinque minuti. Ti devi proteggere e già lì sei in condizioni di guerra, perché per proteggerti devi essere armato. Poi ci stanno delle azioni a sostegno della popolazione tipo costruire strade, ricostruire i ponti, scuole, il più delle volte scuole, in Afghanistan, era il 2005, Bene, abbiamo ricostruito molte scuole. Però quando tu mandi un medico e un infermiere che sono anche solo due persone li devi accompagnare dalla tua caserma dove sei all’ospedale nel villaggetto sperduto, non ce li puoi mandare mica da soli, li devi mandare accompagnati da altre trenta persone che gli danno protezione. Questo è quello che fanno gli italiani, non si va lì a sparare, quello lo fanno gli americani.

F.P. Poi però gli americani in ritiro gli hanno lasciato tutte le armi.

M.M. Troppo costoso riportarle indietro, camion e armi usati per dieci anni, vecchi e malconci. Lo abbandoni lì, lo rendi inefficiente, magari, quello che si fa coi cannoni, carri armati e altre cose. A volte succede, che si abbandonano sul campo, però li si rende inefficienti prima di abbandonarli.

F.P. Protezione civili, ricostruzione, messa così è davvero una missione di pace.

M.M. Ti racconto un evento: Stavamo facendo una perlustrazione, stavamo andando in un villaggetto molto sperduto, siamo usciti alle cinque del mattino dalla caserma con tutto un convoglio enorme di gente, esperta nel cercare armi inesplose, bombe inesplose, etc, tutto un bel gruppo di persone; dovevamo andare in un villaggetto molto sperduto e ci siamo arrivati, dopo parecchie ore di cammino, due mesi. Mentre stavamo lì i norvegesi, inglesi e svedesi, che erano con noi, e avevano le donne nell’esercito, e faceva caldo, e ci levavamo l’elmetto, e c’erano queste biondone norvegesi a testa scoperta, allorché quelli del villaggio si sono leggermente incazzati, ci hanno chiesto, un po’ di rispetto, noi le donne le facciamo andare a capo coperto, a noi non sta bene che state qua, con queste donne a capo scoperto. Tra noi c’è stato il sentore che potevano fare qualche agguato. Che non avvenne. Intanto evitammo di fare il ritorno a piedi e attendemmo il supporto aereo. Siamo rimasti lì bloccati tutto il giorno in attesa, senza niente da mangiare, visto che era prevista una pattuglia di poche ore, non il giorno intero. Erano quasi le due del pomeriggio, tutti morti dalla fame, e c’erano delle signore africane che trafficavano con delle grosse ceste sopra la testa, sui tetti, sì perché loro hanno i tetti piani, non hanno le tegole e loro sul tetto ci fanno un sacco di cose, ci mettono ad asciugare l’erba, il fieno per gli animali, e ci mettono anche ad asciugare le albicocche e altra frutta, al sole.
Allora noi poveri soldati con le lingue di fuori, che guardavamo loro co ste ceste piene di roba, erano frutti, lo capivamo. Allorché una di questa signore, vestita di bianco, una vedova, ha cominciato a strillare a dei ragazzini: in arabo, non comprendevamo, ci siamo allarmati. Un gruppo di questi adolescenti sono entrati in casa di questa signora e sono usciti con una cesta piena di albicocche e ce l’hanno portate, avevano capito che eravamo affamati!

F.P. Forse se non stavate con i carri armati non avreste avuto paura di un agguato, senza la cognizione io soldato tu nemico.

M.M. No, certo. Con noi italiani e gli europei in generale no. E lì mi venne il dubbio: che cavolo siamo venuti a fare fino a qua, e questi ci offrono le albicocche.

F.P. A ricostruire i ponti? No? Mi domandavo, ricostruire i ponti distrutti, levare le armi inesplose, ma da quale guerra?

M.M. Eh, da quale guerra, indovina un po’ gli americani. Noi arriviamo per riparare i danni degli americani, questo facciamo nelle nostre basi.

F.P. Non insieme agli americani.

M.M. Gli americani sono più furbi: lanciano le mine antiuomo e mandano i tecnici della fabbrica che ha fabbricato le mine antiuomo per prendere gli appalti e organizzare lo sminamento. Quindi la fabbrica di mine antiuomo guadagna due volte. La prima volta per lanciarle la seconda volta per andarle a togliere.

F.P. Per toglierle poi paga lo Stato italiano?

M.M. Chi paga non si è ben capito, qualcuno paga.

F.P. Bene. Ed oltre l’Afghanistan? Dove sei stato?

M.M. Sono stato in Irak e in Kossovo. Anche a Gaza, ma solo per una cerimonia e sono tornato indietro, venivo dal Libano. La base Onu è in Libano, ecco perché. Era il 1995 o 96. Non succedeva niente ancora in quel periodo, c’erano solo controlli a tutto spiano, ai palestinesi che andavano a lavorare in Israele la mattina e la sera tornavano a casa, e i poliziotti dell’esercito israeliano controllavano gli autobus. Io facevo documentazione. Tutto viene sempre documentato, ci sono persone specializzate a documentare con foto e video, per motivi storici, legali, molte azioni importanti vanno documentate, come anche le cerimonie.

F.P. I documenti ovviamente non sono in mano tua.

M.M. Ovviamente no. In realtà non mi è mai capitato di riprendere niente di così scabroso.

F.P. E i giornalisti embedded?

M.M. Poca roba. Il giornalista deve vendere la notizia, può ingigantire, servire l’indirizzo per una opinione pubblica, i giornalisti sono molto controllati, quando vengono con l’esercito sono guardati a vista. I giornalisti che riescono a entrare sono sicuri, quelli di cui l’esercito di fida, c’è solo da controllare che non si ficcano nei guai.

F.P. Nessun documento scabroso, giornalisti al sicuro, ma allora questo Impero dove l’hai visto?

M.M. Molto evidente In Irak. In Kossovo eravamo lì solo per riparare i danni che hanno fatto gli americani. Ma in Irak, anche se quella era una missione Onu, c’era la Nato, e gli americani dicono: siamo tutti quanti insieme, collaboriamo insieme nella Nato; ma non è vero, gli americani e gli inglesi stanno per conto loro, non si mischiano con gli altri eserciti. Tieni presente quando fanno una base e sono tutti mischiati e si condividono le risorse tra di loro? In una base ci stanno tante cose: meccanici, lavanderie, dottori, mense, dormitori, c’è tanto lavoro, come se fosse un paese. La Nato nasce per questo, la Nato non è altro che un’associazione di nazioni per risparmiare sulla difesa. Questo è lo scopo della Nato. Sì, l’alleanza, se ti attaccano ti aiutiamo… lo voglio vedere, se qualcuno attacca una nazione Nato tutti gli altri si girano dall’altra parte e so cazzi tua.

F.P. Quindi in Irak gli americani e inglesi avevano il ghetto loro.

M.M. In Irak gli americani quando arrivano, costruiscono, chiamiamolo ghetto, sì chiamiamolo ghetto, come una città, ci stanno pure le università, dentro la base, perché se un soldato nel tempo libero vuole studiare, vuole prendersi la laurea si va a prendere la laurea. Ci stanno i negozi Amazon, ci stanno centri commerciali, addirittura.

F.P. E voi, italiani e gli altri?

M.M. Niente in confronto agli americani, delle palazzine dove ci sarà la mensa, delle volte magazzini, sottoterra, nascosti, per proteggerli.

F.P. E le armi di distruzione di massa? Prima della notizia pubblica venne John Titor o chi per lui a dirci che era una bugia.

M.M. La realtà è un’altra. Le armi di distruzione ce li aveva l’Irak, eccome, come tutti ce le hanno. Che le abbiano trovate è plausibile. Che ce ne aveva tante non è vero. E quelle che hanno trovato sono quelle che gli hanno venduto gli americani. Ecco perché sapevano che le trovavano perché gliele hanno vendute loro. E quello è stato il pretesto, per attaccare l’Irak, ma il vero motivo è che Saddam Hussein voleva vendere il petrolio per conto suo, senza passare dalle grandi multinazionali.

F.P. E tu sapevi mentre stavi lì?

M.M. No, mentre stavi lì te ne freghi, perché tu vai a fare le missioni per un altro motivo: perché ti pagano, 150 dollari al giorno, per quello ci vai, e sono settemila euro al mese, so bei soldi. E la gente si scanna per chi tocca ad andare in guerra. E lì ho detto, ma, siamo diventati tutti scemi, stiamo litigando per andare in guerra.

F.P. Questa è stata la miccia che ti ha spinto a dire adesso basta?

M.M. Sì. È stato vedere amici e colleghi fare a gara per chi andava in missione. Fare a gara o farsi magari le scarpe o nascondersi le notizie pur di andarci loro anziché tu. Perché erano un sacco di soldi, ed erano pagati in dollari. Sai perché, sono pagati in dollari?

F.P. Perché il dollaro deve girare?

M.M. Eh, perché sono soldi americani. Non sono soldi che vengono dal governo italiano, il governo italiano paga altre cose, i trasferimenti, le missioni, paga tutto, paga lo stipendio tuo, finché continui a prenderlo, però poi ci sta questa indennità, Onu, chiamata così, la pensione Onu in particolare: la base sono 150, poi più sali di grado e più alta è, che è pagata in dollari e lì ti rendi conto e ti dici, scusa, ma io ho litigato, con gente che conosco da venti anni, per venire qua, in una guerra che non ho causato io, che non me ne frega niente a me, manco ai talebani visto che mi danno pure le albicocche quando c’ho fame, e vengo pagato dagli americani, che se ne stanno per cazzi loro nella loro base, non si mischiano con noi, loro c’hanno un morto al giorno, perché loro sparano, noi ricostruiamo ponti e andiamo a cercare le mine e più di quello non facciamo, infatti è raro che muore un soldato italiano all’estero, mentre gli americani ogni giorno c’hanno la bandiera a mezz’asta. L’ultima è stata il Kossovo, nel 2010, stiamo lì solo per prendere i soldi dalla Nato.

F.P. Lì è stata l’Onu a decidere la guerra.

M.M. Sì è stato un intervento Onu, la Nato è partecipe, ma comunque è stato un intervento Onu, sono tutte missioni Onu, anche in Irak, la Nato non avrebbe avuto motivo di andare in Irak, avrebbe avuto motivo in Kossovo, perché è vicino a noi, ma la Nato non ha motivo di fare nulla, in realtà la Nato quello che fa è piazzare basi vicino alla Russia e nell’est Europa, solo questo sta facendo la Nato, come pura Nato, poi c’è la Nato che partecipa ad altre missioni e quella è un’altra cosa. La Nato è un’alleanza atlantica, che però è diventata l’alleanza dei paesi dell’est Europa.

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